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Dalla pult alla polenta
Il pane e le focacce, elaborazione degli sfarinati ricavati dai cereali, arrivarono nella penisola italiana dalla Grecia dell’epoca di Pericle, nel V secolo a.C.. I popoli italici avevano fino ad allora consumato i cereali sotto forma di minestra, bollendo le cariossidi fino a provocarne lo sfarinamento, o sotto forma di pappe (dette pultes) ottenute reimpastando la farina con acqua e cuocendola fino a farle assumere una certa consistenza. Queste pultes, di cui è memoria nel De agri coltura di Catone e nel De re coquinaria di Apicio, sono le dirette antenate delle nostre polente di farina di mais. Nelle vicende della cucina povera lombarda affiora senza soluzione di continuità il ricordo delle antiche polentine molli, in una varietà infinita di elaborazioni. Termini come pult, polt, puta, puti, putiscia, putöö, comuni in quasi tutte le tradizioni culinarie della campagna padana, identificano appunto delle pappette e farinate, più o meno consistenti, ottenute dalla cottura di farina in acqua o latte, con un’ombra di condimento. Prima delle grandi carestie del XVII secolo e della rapida propagazione della coltura del mais, si preparavano pult con farina di segale, farro, fraina, miglio, sorgo, orzo, riso e, naturalmente, frumento, per quanto questo cereale potesse essere disponibile. Dalla metà del ‘700, il mais sostituì quasi completamente (soprattutto nei territori di montagna) le altre colture cerealicole e la polenta gialla sostituì sia il pane sia buona parte del companatico. Le gravi manifestazioni di pellagra nelle zone più povere, furono il prezzo dell’assunzione di una dieta incentrata sulla polenta. Se questa infatti si accompagnava sempre con cibi molto saporiti, molli o abbondantemente conditi che consentissero la pucia, è noto che il poco companatico e la pucia richiamavano grandi quantià di polenta. Nutriva poco, si diceva, ma riempiva lo stomaco e impediva di sentire il morsi della fame. Così ogni giorno, la regiura rovesciava il paiolo fumante sopra l’ass de la pulenta coperto da un tovagliolo umido, i cui bordi venivano ripiegati sulla polenta stessa per tenerla al caldo. Salacche, salsicce, formaggio, olio, lardo, latte, burro, uova, tutto poteva fornire condimento: e spesso era polenta a pranzo, a cena e a colazione. Oggi la fame endemica si è allontanata dal nostro orizzonte e possiamo apprezzare in pieno la fantasia con cui questo semplice alimento è stato elaborato nel corso dei tre secoli passati.
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Abbinamenti: |
Come tutte le polente, anche questa è piatto unico. L’abbinamento ideale è con vini rossi un po’ aggressivi e ingenui, come il Nustranel con¬tadino, prodotto un tempo con uvaggi a varia proporzione di Clinton, oggi con vitigni autoctoni. Appropriata anche la Bonarda dell’Oltrepò e il Capriano del Colle rosso, non invecchiato.
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