Note:
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L'agrodolce
La pratica di combinare nello stesso piatto due sapori contrastanti, l'agro e il dolce (dati dall'aceto o dal limone e dallo zucchero o dal miele), risale alla cucina romana antica. Preparazioni agrodolci sono già descritte nel De re coquinaria di Apicio. Il gusto agrodolce era molto apprezzato anche nel Medioevo e nel Rinascimento, quando, in conseguenza dell'introduzione di nuovi alimenti, si creavano associazioni di ingredienti che oggi possono apparire insensate ma che allora trovavano largo consenso sia per le preferenze sensoriali del tempo sia per lo sfarzo che ostentavano. Alla carne venivano abbinati frutta secca, zucchero, spezie, formaggio, come nella tanto celebrata torta parmesana, in voga dal '300 al '600 come simbolo di alta cucina e momento clou di un banchetto. Fu la cucina francese, nel '600, a mettere ordine e razionalizzare gli abbinamenti dei cibi distinguendo tra dolce e salato e influenzando in tal senso le abitudini culinarie dei paesi culturalmente dominati dalla Francia, come l'Italia. Quest’influenza è stata molto sensibile fino a tutto il XIX secolo tanto che in molti piatti della cucina regionale italiana sono rimaste associazioni agrodolci: i tortelli con la zucca, le sarde in saor, le cipolline in agrodolce ecc.
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Varianti: |
Il passato di pomodoro non è contemplato in molti ricettari, dove è sostituito da brodo di carne molto ristretto, ed è prevista l'aggiunta di uvetta e pinoli e, talvolta, di amaretti sbriciolati e di poca farina per legare la salsa. Nelle indicazioni de Il nuovo cuoco milanese non si trova il prezzemolo né l'olio, sostituito dal burro, e compare poca scorza di limone. Anche il procedimento può variare: si fa caramellare lo zucchero per poi scioglierlo nell'aceto e aggiungervi infine gli altri ingredienti.
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L'ingrediente: |
l'aceto Utilizzato fin dall'antichità come conservante e per condimenti, salse e marinate, l'aceto, definito da Aristotele "vino putrefatto", è il prodotto della fermentazione del vino o di altri liquidi alcolici ottenuti da frutta, cereali, malto, miele. prodotti agricoli (mele, malto, barbabietola, riso ecc.). La fermentazione avviene ad opera dei batteri acetici che trasformano l'alcol contenuto nel prodotto di partenza (vino, sidro, sakè ecc.) in acido acetico, sostanza che conferisce il caratteristico sapore a questo condimento e che, per legge, deve essere presente in quantità non inferiore al 6% per l'aceto di vino e al 5% per gli altri aceti. Dal punto di vista commerciale si distinguono aceti comuni e aceti di qualità, che hanno un'acidità uguale o maggiore al 7% e la differenza tra queste due categorie risiede nella materia prima e nella tecnica di produzione. Per gli aceti comuni vengono generalmente impiegati vini molto diluiti e già leggermente alterati, il processo di fermentazione è rapido e la maturazione nelle botti è limitata a pochi mesi cosicché gli aromi presenti e le caratteristiche sensoriali sono meno spiccati. Gli aceti di qualità provengono invece da vini sani apposita¬mente preparati, con una diluizione minore e quindi con una maggior quantità di profumi e aromi, e la cui acidificazione avviene lentamente. L'aceto rosso ottenuto viene poi lasciato invecchiare in fusti di legno per sei mesi circa e poi travasato in contenitori di acciaio inossidabile per un altro periodo di invecchiamento, mentre quello bianco viene fatto "maturare" per un anno in recipienti di acciaio. Durante il periodo di invecchiamento il prodotto diviene limpido e affina le proprie caratteristiche risultando più profumato e aromatico. Alcuni aceti vengono aromatizzati addizionandoli con estratti aromatici naturali di erbe (basilico, rosmarino, salvia ecc.) o di frutta (lampone, limone) e lasciandoli riposare il tempo necessario perché acquistino le caratteristiche sensoriali degli aromi aggiunti.
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