La Brianza

Distesa fra le valli prealpine, la regione dei laghi e la città di Milano, imprigionata fra i due fiumi principali della Lombardia (il Ticino e l'Adda), la Brianza (un tempo Martesana) è il tipico territorio di mezzo, che più di ogni altro riassume la funzione di baricentro delle tradizioni alimentari regionali.

L'orografia del territorio rimandava un tempo (prima della industrializzazione diffusa) alla successione di collina e pianura, di bosco, brughiera e fondi intensamente coltivati, di orti e canali irrigui, a testimonianza di una vocazione agricola "obbligata" dalla vicinanza della grande città, della quale la Brianza è sempre stata nutrice.

Storicamente, questa posizione e questa funzione hanno esaltato anche in termini culturali il ruolo della cucina brianzola: tracce vi hanno lasciato tutti i "passanti" che dal nord scendevano verso la città o che transitavano lungo la direttrice estovest, ma anche i milanesi che attraverso questo territorio esercitavano i loro commerci, piuttosto di avervi residenza secondaria o proprietà. Se la risorsa agricola più compatibile con questa geografia e con queste funzioni è stata quella dei cereali secondari (prima segale, miglio ed orzo, poi dal 1600 il granoturco, o meglio, il "carlun"), la superficie boschiva (oggi ridotta ai minimi termini) ha sempre favorito le attività di caccia (volatili, selvaggina) e di raccolta (castagne, noci, lumache, gamberi di fiume), mentre l'umanizzazione del territorio e la struttura sociale (le case padronali, circondate da quelle dei massari e dei villani, le corti) ha presto promosso maiali e galline a veri animali di culto, tanto del micropaesaggio come della cucina.

La medesima conformazione rurale ha favorito l'utilizzazione intensiva orticola e qualche specializzazione negli alberi da frutto (con la presenza finanche del gelso, diffuso dal 1500 per sostenere la bachicoltura), mentre l'allevamento (a differenza che altrove) è sempre stato prevalentemente indirizzato alla filiera della carne: ma di questa specializzazione, poco rimaneva sulla tavola brianzola, giacchè uova, frutti, ortaggi e carni prendevano preferibilmente la strada verso Milano.


Cucina di miscelazione, quella brianzola, dunque di utilizzazione omnicomprensiva delle risorse residue: miscele di cereali per ottenere pani appena accettabili, miscele di ortaggi e legumi (o ancora di cereali secondari) per zuppe nobilitate da una pestata di lardo, miscele di frattaglie per confezionare salsicce.

L'alternativa al lardo, come condimento, era un tempo un olio di linosa o di ravizzone, di cui oggi si sono perse le tracce. Poi, cucina energizzante necessaria a sostenere il lavoro agricolo, ove anche il vino (il "nostranello", oggi pressochè dimenticato) compariva come ingrediente. E ancora, cucina di scambio: le massaie brianzole, andando a servizio nella ricca Milano, vi portavano sapere e pratica cucinaria, mentre le famiglie più abbienti (che in Brianza avevano possedimenti) arrecavano l'influenza di una cucina più ricercata.


Da tutto questo dipende anche la difficoltà di disegnare i confini precisi della tradizione alimentare brianzola, che stempera la sua influenza nella cucina lariana, in quella del varesotto e, soprattutto, in quella milanese e di queste rappresenta sovente il massimo comune denominatore.