Il ricettario di Angelo Dubini

Il ricettario di Angelo Dubini PDF Stampa E-mail
Il ricettario fu pubblicato anonimo nel 1842 e ristampato, sempre anonimo, almeno una ventina di volte fino al 1899. "Un medico che va in cucina, che si degna di insegnarvi come si friggono le uova e come si condisce uno stufato, abdica alla sua dignità, getta toga e berretto dottorale in un letamaio, perde il nome di dottore, di professore, di uomo serio. Sicuro, è proprio così..." La cucina degli stomachi deboli
Milano, Bernardoni, 1842.

Invia1. L'autore.
Nato e vissuto a Milano, medico e ricercatore, Angelo Dubini isolò l'Ancylostoma duodenale; descrisse per primo la corèa elettrica, sindrome mioclonica simile al ballo di san Vito, conosciuta ancora oggi col nome di corèa del Dubini; dimostrò, infettandosene sperimentalmente, che l'acaro è l'agente patogeno della scabbia. Amico e collega di Paolo Mantegazza, di Giovanni Rajberti, di Oscar Giacchi, di Clemente de Angeli e del nutrito gruppo di scienziati positivisti milanesi, fu primario di dermatologia all'Ospedale Maggiore di Milano. Morì a Lecco dove si era ritirato ad allevare le api per studiarne la vita e le abitudini sociali, nei primi anni del XX secolo.

2. L'opera
Il ricettario fu pubblicato anonimo nel 1842 e ristampato, sempre anonimo, almeno una ventina di volte fino al 1899. "Un medico che va in cucina, che si degna di insegnarvi come si friggono le uova e come si condisce uno stufato, abdica alla sua dignità, getta toga e berretto dottorale in un letamaio, perde il nome di dottore, di professore, di uomo serio. Sicuro, è proprio così..." Scriveva Paolo Mantegazza. L'anonimato, mantenuto per ragioni accademiche, di decoro scientifico e pudore di cattedra, fu svelato implicitamente proprio da Paolo Mantegazza, fondatore del primo laboratorio europeo di patologia generale e della Società Italiana di Antropologia. Darwiniano convinto e promotore nostrano delle scienze umane, non disdegnava scrivere di cucina, di gastronomia, di sesso e di sessualità, pur essendo titolare di una cattedra universitaria di medicina in cui si tenevano sovraffollatissimi corsi. Il Mantegazza, senza dirne il nome, tracciò in una delle sue rivista divulgative, il profilo dell'autore e ne rese possibile il riconoscimento.
La cucina degli stomachi deboli si distingue tra tutte le opere ottocentesche per il suo dichiarato intento scientifico, igienista e salutista: "...il medico è in cucina cento volte più utile che in spezieria". Le note introduttive e molti passi del testo corrispondono in maniera speculare alle teorie sanitarie e dietologiche che andavano per la maggiore in quegli anni e sulle quali si basavano la pratica medica e la scienza alimentare alla metà del XIX secolo, con riferimenti specifici agli esperimenti di scienziati francesi, inglesi e tedeschi, artefici di teorie biologiche e dietetiche oggi superate e talvolta risibili, ma all'epoca molto conosciute e seguite in ambito accademico.
Il linguaggio è piano, comprensibile a tutti, e ricorre a riferimenti dialettali per i termini meno usuali. Le procedure operative sono schematiche e ben ordinate, con l'indicazione precisa delle dosi degli ingredienti.

3. La cucina degli stomachi deboli
La tendenza gastronomica "alla francese" non è cambiata, a metà secolo, ma se ne comincia ad avvertire i limiti. Scrive il Rajberti che a Milano si mangia francese e inglese "giacché in lingua italiana non è permesso nemmeno di mangiare" e, soprattutto, si mangia troppo, troppo a lungo e in modo troppo pesante. "Pranzi ciclopici" che "sembrano fatti per saziare gli elefanti". Si prospetta la necessità di semplificare le pratiche di cucina e le abitudini a tavola per andare dietro alla richiesta di praticità e ai nuovi impegni produttivi imposti dalla società industriale: una cucina alleggerita, sia pure per mangiatori robusti. Attento, da dilettante d'ingegno, alle pratiche culinarie, Dubini ritiene utile conformare alle teorie dietetiche allora più avanzate i piatti e i menù, senza distaccarsi troppo né dal modello alto francese, né da quello popolare lombardo, di cui ripropone molteplici esempi, e in cui si avverte il perdurare dell'etica illuminista di Pietro Verri (il quale, descrivendo i suoi pasti in villa sottolineava che "la tavola è dilicata quanto può essere possibile; i cibi sono tutti sani e di facile digestione; non v'è una fastosa abbondanza, ma v'è quanto basta a soddisfare".
Due principalmente le basi delle sue teorie: l'opposizione tra cibi forti e cibi deboli e la teoria dell'assimilazione diretta. Egli distingue gli alimenti in cibi più forti (provenienti da animali a sangue caldo, adulti, quali il bue, il castrato, i polli maturi, la selvaggina e il brodo che da questi si ricava) e cibi meno forti, come il capretto, il vitello, i piccioni, gli uccelletti da nido e in genere tutti gli animali giovani. I cibi più forti sono anche quelli di più facile digestione per l'uomo, mentre quelli meno forti risultano "meno facili a digerirsi". Questo dualismo alimentare ha la sua radice nella teoria dell'assimilazione diretta dei principi nutritivi, che andava per la maggiore tra i medici dell'epoca. Assumendo a fondamento una visione esclusivamente chimica della nutrizione, accreditata dalla cultura positivista, i medici della seconda metà dell'Ottocento teorizzavano che la digestione fosse favorita dall'analogia tra i tessuti degli animali (o dei vegetali) consumati e quelli dei loro consumatori. Così che gli alimenti di origine animale risultavano "i più facilmente digeribili siccome quelli che devono subire un minor numero di trasformazioni".
Rispetto alla gastronomia corrente, Dubini riduce le quantità delle porzioni, introduce una cucina d'olio a fianco di quella di lardo e di burro, sfoltisce la presenza dei sughi e delle coperture, semplificandone al massimo la composizione.